Di madre in figlia


Alchimia teatrale di Marinella Fiume

Da giovedì 8 a domenica 11 febbraio, Guia Jelo interpreterà al Piccolo Teatro della Città la pièce scritta da Marinella Fiume e diretta da Gisella Calì.

Lo spettacolo narra la storia di una guaritrice di campagna, è un’occasione per parlare di sapere femminile sacro e magico

Un’alchimia teatrale: l’esigenza di trasformare in performance teatral-musicale-sensoriale un testo letterario prezioso. È quanto è successo con Di madre in figlia – Alchimia teatrale della scrittrice Marinella Fiume, diretto dalla regista Gisella Calì e interpretato da una beniamina del pubblico quale Guia Jelo.

Guia Jelo| Di madre in figlia | Teatro | Cosenostrenews.it

Lo spettacolo – prodotto dall’Associazione Città Teatro – va in scena dall’8 all’11 febbraio al Piccolo Teatro Della Città di Catania e vede, al fianco della grande artista protagonista, Laura De Palma, Chiara Barbagallo, Flaminia Castro, Giuliana Giammona, Valentina Pizzimento, Sofia Di Dio. I costumi e le scene sono di Giovanna Giorgianni.

Donna Razzia

 Di madre in figlia- Alchimia teatrale racconta di Donna Orazia (Razzia), guaritrice di campagna, nata nel 1885, in un comune della costa Jonico- etnea, dove è morta all’età di 101 anni. In occasione del suo centesimo compleanno, la donna decide di trasferire “il sapere” a una giovane e la invita a tornare nella Notte di Natale per conferirle anche il “potere”.

A dar vita e corpo alla guaritrice è, appunto, Guia Jelo che affronta quest’ennesima sfida nella sua lunga ed eclettica carriera con tutto l’ardore che la contraddistingue.  
«Mai come adesso – dice – avrei potuto affrontare questo testo: nella mia maturità. In questi anni, ho interpretato tanti spettacoli e personaggi sopra le righe e peraltro di temperamento e di presa sul pubblico ma non sempre così fortemente “miei” come questo che, seppur dentro un conflitto – ma costruttivo e stimolante – mi permette di parlare di me. Ecco perché ho accettato quando mi hanno proposto questo testo, con il quale voglio coniugare Marinella Fiume e Gisella Calì con Giordano Bruno, mio grandissimo mentore e amore.

Il conflitto che vivo risiede nella contraddizione dentro di me tra il non portare in scena un personaggio con le mie solite corde molto esplose – a cui ho piacevolmente abituato il pubblico – e il piacere di parlare di me e della mia spiritualità radicatissima con un’opera dove le mie corde sono invece implose». 

«Implose sì – continua – , ma con la possibilità di raccontare davvero qualcosa di molto intimo e di mio dettato da chissà quale identità: credenze, fiducia, arcano. Tanti anni fa, peraltro, io ho avuto la fortuna di incontrare una guaritrice: la mia maestra Ignazia di Viagrande che mi ha donato qualche gioiello spirituale e tante preghiere antiche proprio come tra Orazia e la sua Lunarda.

Da lei ho appreso tanto di quel mondo e di quel sentire che non è mavaria ma è fede, è credere, è spirito, è toccare e aiutare facendo il bene. Ecco perché quando mi abbandono tra le braccia del testo della splendida penna di Marinella e del suo contenuto spirituale, guidata dalla magica e bravissima Gisella, spesso mi ritrovo dentro quello stesso fuoco dove ha avuto fine la mente eccelsa di Giordano Bruno  e lo sento prepotente come ciò che mi dà. Ne sento il crepitio ed è come abbandonarmi alla spiritualità». 

Una drammaturgia che nasce da un dialogo e scambio intenso tra l’autrice e la guaritrice. «Nel corso della lunga intervista – racconta l’autrice Marinella Fiume – , donna Orazia mi chiedeva spesso “Ma lei ci crede a queste cose ?” Io rispondevo sempre di sì perché credevo che insieme stessimo ripetendo un rituale antico del sapere femminile di cui la medicina ufficiale aveva ben presto espropriato le donne del popolo, mandandone al rogo qualcuna. Ci credevo perché sapevo quale era stato il potere delle donne, la specificità del possesso di un sapere orale di cui è inutile cercare traccia nei libri di storia.

La biografia che ho scritto, restituendo il racconto in prima persona e dando agli avvenimenti una sequenza cronologica, permette di ritrovare l’identità perduta della caposcuola di tutta una comunità contadina scomparsa. Spero che Donna Orazia mi abbia perdonato, se ho infranto il divieto di scrivere quel che non si dovrebbe, contravvenendo alla consegna dell’oralità e della riservatezza ad orecchie di figlie. Trasformarla in performance teatrale mi consente di recuperare questo patto».

Un patto tra donne, un patto al femminile da cui scaturisce uno spettacolo intimo e dal forte contenuto spirituale e alchemico. «Teatro è un concetto fluido – dice la regista Gisella Calì – che assume significati differenti. È alchemico ogni volta che uno spettatore avverte di vivere un’esperienza unica e con essa si sente trascinato in un nuovo flusso vitale.

È quanto accade con la storia dell’ultima guaritrice di campagna, figura di rilievo nel panorama della medicina popolare siciliana del secolo scorso, quando tali “scienziate antiche” erano considerate “Sante”. Oggi, la medicina popolare, con i suoi riti ancestrali di guarigione, esercita un potente fascino sulle nuove generazioni. A rapire l’attenzione è il racconto di questo “Sapere”: un sapere femminile che si tramanda per via matrilineare.

Un sapere orale, composito, magico, sacro, naturale. Un Sapere che è soprattutto Rito visto che nella medicina offerta da Donna Orazia, se il rimedio naturale può anche mancare, ciò che non può essere assente è l’orazione: una preghiera recitata a mezze labbra in modo che nessuno possa decifrarla. Orazione e gestualità simbolica, quasi esclusivamente femminile. Potente. Alchemica. Il Rito è Teatro. Il Teatro è Rito. Qui si compie».

Un testo profondo che parla di magia e fede e che trova nel teatro la sua grande alchimia.

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