A casa per Natale


Luci intermittenti, stufe accese, plaid sulle ginocchia. Mia madre e la sua frenesia mi passano accanto, tengono insieme una pila di stoviglie e si dirigono svelte, coscienti sul da farsi, giù per le scale.

I rumori dal basso li sento arrivare come fossero zaffate di vento in pieno volto, svegliano me e il mio torpore, riattivano muscoli e iniettano dopamina.

La seguo. Sono scalza.
Man mano che arrivo in fondo alle scale sento stoviglie sbatacchiare e un odore ancestrale salire fin dentro il mio ipotalamo che urla: Ragù!

Mia zia e mia madre cominciano una conversazione fatta dei numeri di sedie da portare, della farina da comprare. La quantità è però fatta di volti e risa.
Mia nonna intanto si è accorta di me, mi porge un cucchiaio con del ragù e con gli occhi mi sta chiedendo di sapere se è buono abbastanza.

Faccio in tempo a bruciarmi il labbro inferiore mentre suonano alla porta;
Una valanga di cugini e cuginetti, amici di amici che non conosco, parenti mai visti si riversano nell’ampio soggiorno.

Abbracci e scroscii di baci si fanno spazio tra la folla, intanto la caffettiera ha deciso da sola di fare il suo lavoro.
Vanno via presto. Abbiamo un sacco da fare.

Mia nonna e le sue figlie montano tavolozze, io le guardo dal basso;
Noi piccole stiamo ad osservare mani solerti muoversi a un ritmo concitato ma sicuro.

Sollevano impasti, li schiacciano, comprimono, stendono, farciscono, infornano.
Una catena di montaggio perfettamente oleata prende vita ma ha occhi, mani e fatica. Non si lascia scalfire però perché è sostenuta da cuori grandi.

Ho 8 anni, forse 9, ho scritto una lettera a Babbo Natale dove chiedo di avere in dono la voce della mia cantante preferita.

Ho 8 anni, forse 9, so che Babbo Natale non esiste e so anche che qualora esistesse non si occuperebbe di reperire regali immateriali.

Ho 8 anni, forse 9, e so di mettere in difficoltà i miei genitori con richieste un po’ svampite.

Mentre vaneggio le mie cugine, pragmatiche e generose, hanno trafugato dell’impasto anche per me. Improvvisiamo così un discreto master chef baby, pioniere di Cucine da incubo, fingiamo di saper preparare pizze, sfoglie e calzoni emulando a mena dito gesti visti mille volte.

È una sorta di rituale il momento dell’infornata e partecipiamo anche noi con paste ripiene dalle forme bizzarre. Zozze le mani di farina decidiamo di giocare con la nostra fantasia.

Mettiamo in scena uno spettacolo che ci vede ballerine, cantanti, presentatrici a turno e senza litigare. Più tardi costringeremo una tavolata di trenta persone ad ascoltarci silenti e via le forchette anche ad applaudirci.

Il sole è andato via da un pezzo e bisogna fare in fretta, è quasi pronto per la cena.Vestitini nuovi si mischiano a calze di nylon ancora da spacchettare.

I tavoli sono già disposti sempre allo stesso modo, io vado al mio insieme ai piccoli. Abbiamo sedie un po’ più basse, niente vetro sintomo di previdenza e conoscenza.

Ho 8 anni, forse 9, è il 24 Dicembre, io non ho un tablet, né uno smartphone, non so cosa sia face book, forse non lo hanno ancora inventato, ho chiesto ai miei genitori la voce di una cantante come regalo di Natale e improvviso commedie e musical con le mie cugine coetanee.

Ho 30 anni, è Natale, chiedo ancora la voce di una cantante come regalo quest’ anno Bjork, non gioco con la pasta ma la impasto, parlo con le mie cugine di spese e di lavoro, il tavolo dei bambini è occupato da altri bambini. Ho mentito loro dicendo di essere una bambina molto alta.

Ho 30 anni, è Natale e siedo al tavolo dei bambini, le mie ginocchia non ci stanno ma coordino i lavori dello spettacolo che sta per cominciare.
Buon Natale!

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