Davide Enia vince il Supermondello


Allo scrittore e regista palermitano è andato anche il Mondello Giovani

Spesso si dice che nessuno sia profeta in patria, ma stavolta non è andata così. Perché Davide Enia ha vinto il Supermondello, nella sua Palermo, con Appunti per un naufragio (Sellerio).

Il romanzo ha avuto la meglio nella corsa con Di ferro e d’ acciaio (NNE) di Laura Pariani e Leggenda privata (Einaudi) di Michele Mari. Questi quindi i tre vincitori del Mondello Opera italiana, mentre a Biologia della Letteratura di Alberto Casadei il premio Mondello Critica.

Lo scrittore palermitano ha vinto anche il Premio Mondello Giovani che annualmente viene assegnato da una selezione di studenti delle scuole medie superiori di Palermo e della Sicilia. Il “triplete” lo ha definito scherzosamente l’autore, che mostra ancora una volta il suo rapporto viscerale con la sua città e la sua gente.

davideenia.org (ph. Moro)

Più che un racconto di Lampedusa

Di Palermo, in Appunti per un naufragio resta la lingua materna, che nell’autore è  un modo di pensare, prima di essere mezzo verbale. Attraverso le lingue avviene l’incontro con i personaggi: i dialetti, l’inglese, il linguaggio della cooperazione e quello dei pescatori e persino i silenzi. In fondo Lampedusa è questa, perché è già oltre la Sicilia, ma è anche il suo prolungamento. Di certo diventa prolungamento emotivo per Enia, che “lascia Palermo” per andare anche un po’ oltre la sua stessa cifra stilistica.

Alla sovrapposizione dei linguaggi, infatti, fa da contrappunto una narrazione in molti tratti asciutta, cronistica e quindi inattesa. Ma il ruolo della narrativa è questo: affondare le nostre certezze. E Lampedusa riesce benissimo in questa intenzione perché ha tante storie da raccontare.

Enia vi approda per ascoltarle: gli amici Paola e Melo, il sommozzatore e la dottoressa, il pescatore e lo skipper. Tutti sono stati posti, per missione o per necessità, di fronte al naufragio e di fronte al dolore degli altri, che spesso ci lascia impotenti.

cover

Allora, raccontare i naufragi di Lampedusa è un modo per rileggere la complessità della vita umana e i suoi abissi (L’abisso è il titolo dello spettacolo teatrale tratto dal romanzo). L’autore si porta l’isola dentro, nella relazione con il padre e in quella con la malattia di zio Peppe. E diventa l’occasione per rileggere il proprio lessico famigliare in modo diverso: “le risposte le avevi già” dice Silvia al marito Davide.

Così, come la luce dell’isola, il testo produce un effetto alienante, che spiazza chi aspetta il racconto della migrazione come fenomeno.

Il Romanzo smentisce chi spesso fa di Lampedusa una parola contenitore: migrazione, naufragio, solidarietà, salvezza, dolore, riducendo la tragedia in statistica. Ed a suo modo cerca di restituircela, pur sempre nell’impertinenza della parola, incapace di esprimere davvero tutto. Lo fa mostrando l’umanità che resiste a qualsiasi dramma: il ritorno delle spigole, la barzelletta del ragazzo curdo, la gioia per una telefonata ricevuta.

In fondo anche raccontare è un istinto, come avere paura o come salvare una vita.

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