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Il Grande Crollo

” Assittiti ca, picciridda, ca ti cuntu ri du juornu “
Così mi diceva, mia nonna, quando voleva raccontarmi, del giorno di quando ” il grande crollo” ha cambiato le sorti del nostro paese.

Era diventato una specie di rituale , con cadenza mensile. Si sedeva, verso sera, sulla poltrona di velluto rosso, consumata dal tempo, macchiata e lisa in più punti. Si copriva le gambe con una coperta di lana lavorata all’uncinetto. E iniziava a raccontare.

Non voleva che scrivessi nulla. Diceva che questa era una cosa da tramandare, solo oralmente: di generazione in generazione. Poi iniziava…

“Successe verso mezzanotte…”

Un boato svegliò il paese assopito.
Come tessere del domino che cadono l’una sull’altra, così, simultaneamente, caddero quattro palazzi e la reggia del governatore.
L’onda d’urto sollevò un muro fitto di polvere che, con violenza, riempì ogni buco, fessura e crepa di tutto il paese.

Trenta secondi di silenzio morto e poi, urla, pianto, sirene e fuoco. I primi a uscire dalla case furono gli uomini, schizzavano fuori dalle porte e dalle finestre come proiettili di un kalashnikov impazzito. I volti contratti celavano il terrore, quello vero.

Dopo, seguirono le donne con i bambini, li tenevano stretti tra le braccia. Gli facevano da scudo con i loro corpi, perché quelle erano giovani vite da preservare a tutti i costi. Come macchine perfette e precise che sapevano esattamente cosa fare, si ritrovarono ammassati nella piazza principale.

Gli occhi smarriti e veloci cercavano volti conosciuti. Cercavano soprattutto gli anziani ma, di quelli, non c’era più nessuno. Troppo lenti, troppo fragili, erano tutti rimasti schiacciati sotto il peso delle loro case di cemento di scarsa fattura.

“Il paese deve crescere, dovete costruire altri palazzi “

Così si era pronunciato il governatore, padre supremo e infallibile. Qualcuno aveva osato obiettare che, dopo anni di speculazioni, ormai, le materie prime e il ferro soprattutto, scarseggiavano.

Aggiungete la sabbia che è la stessa cosa” -rispose il governatore, con la sua voce in falsetto. E con questo “ipse dixit ” la questione fu chiusa. Gli appaltatori, suoi complici e sgherri, costruirono, per anni,senza sosta, mattone dopo mattone, quattro mostri grigi, tutti uguali, senza anima.

L’anima della Città

L’unica cosa che aveva un’anima, ma poi strappata e venduta al diavolo, era il grande parco al centro del paese. Ettari su ettari di natura incontaminata, palme e carrubi secolari, ulivi tortuosi e frutteti odorosi.

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Nel parco c’era anche un piccolo palco dove, durante le estati, calde e afose, un’orchestrina suonava i brani più famosi dell’epoca. Le coppiette lì andavano a ballare e a bere bibite rinfrescanti.

Poi, arrivarono le ruspe. E senza alcuna pietà tirarono giù, uno ad uno tutti gli alberi e il piccolo palco e la natura selvaggia venne inghiottita dal cemento.

Il cemento, insieme alla sola sabbia si stendeva con facilità e in pochi anni quattro palazzoni, come golem mostruosi, vennero costruiti. Ogni singolo appartamento fu venduto e, poco dopo, tutti dimenticarono dove si poggiavano le loro case senza ferro e fondamenta.

Di tutto quel verde meraviglioso era rimasto solo un minuscolo fazzoletto. Ma il governatore non aveva pace. Odiava la natura, odiava l’aria pulita e ossigenata, odiava tutto quello che non si piegava al suo volere. Così decise che anche quello doveva sparire.

– indicando con un dito, senza nemmeno alzare lo sguardo, come se si trovasse al cospetto della Medusa e temesse di rimanere pietrificato , pontificava- ci voglio il mio palazzo.

Il Palazzo

Per le palme sopravvissute non ci fu scampo: le abbatterono di notte, senza fare troppo rumore, mentre il paese dormiva. Ed in pochissimo tempo, sempre con cemento e sabbia, gli costruirono la reggia. Cinquanta stanze, tre saloni per le feste e un ampio parcheggio potevano bastare per sè e le sue amanti.

Il governatore, infatti, che era un uomo crudele e spietato aveva un punto debole, le donne. Ma per loro non provava amore, non le rispettava, lo eccitava prenderle con violenza, umiliarle pubblicamente e renderle sue schiave. In quella reggia, le avrebbe tutte imprigionate, sarebbe stato più facile controllarle e gestirle e soprattutto piegarle ai suoi piaceri perversi.

Il grande crollo: il potere

Per evitare occhi indiscreti, fece alzare un enorme muro, nessuno doveva sapere cosa succedeva lì dentro ma, tutti ne erano al corrente. Aveva assunto anche un pianista che, quasi ogni notte suonava, a più non posso brani di Beethoven, per nascondere le urla delle sue amanti mentre le torturava. Le urla però, superavano la musica, l’altissimo muro e si spandevano come l’aria per tutto il paese.

Ma le nefandezze del governatore non si limitavano solo a quello. Costringeva i sudditi a pagare tasse altissime e fingeva di donare loro benefici. Fingeva finanche di essere un padre buono e magnanimo, se non poi riprendersi tutto e di più.

Il malumore, l’insofferenza, l’odio viscerale, iniziarono a serpeggiare. Le persone, senza che si fossero dette nulla, come per un istinto di sopravvivenza, iniziarono ad incontrarsi di nascosto, nei sotterranei del paese.

Decisero di organizzare una rivolta e detronizzare quel bastardo e spedirlo all’inferno e, Il “grande crollo” fu l’occasione perfetta. Erano tutti lì, nella piazza, sporchi e disperati, quando lui arrivò.

Il grande crollo: l’ostentazione

Tronfio: le mani appoggiate sui fianchi, come il testone di Predappio. E sereno e senza un capello fuori posto, disse “Tranquilli, non mi sono fatto nulla, le mie fidatissime guardie del corpo mi hanno salvato“.

Lo afferrarono, lo trascinarono per i piedi e gli cavarono gli occhi. Gli strapparono tutti i vestiti e i capelli, poi la pelle, la carne. Il sangue schizzava a fiotti da tutte le parti ed a nulla valsero gli spari delle guardie. Lo scorticarono vivo e i gli strapparono il cuore. Ancora pulsante dal petto e solo dopo averlo ridotto a brandelli urlarono con tutto il fiato che avevano nei polmoni.

Poi, iniziò a piovere. E l’acqua, come una benedizione, si portò via tutto, tutti gli anni di soprusi, di umiliazioni, di orrore. Tutto, con quell’acqua benefica, venne lavato via.”

Il sole del giorno dopo, sancì il nuovo inizio

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