Confessioni alcoliche


Un teatrino tra il bancone e i tavoli, un susseguirsi di entrate sceniche, battute riciclate dagli episodi precedenti, frasi di circostanza, saluti negati, sguardi che si incrociano o si evitano, poli opposti che fingono di attrarsi ancora ma si stanno silenziosamente allontanando. O rumorosamente, dipende. A volte tremo così tanto di emotività che potrei shakerare un margarita come Dio comanda.

Nemici che diventano amici, amicissimi che si raffreddano, e io sto lì a fingere di non accorgermene, di farmi gli affari miei mentre tutte quelle moine sono più surreali di un film di David Lynch. Ma io sto lì, mentre altri pensano di sapere cosa mi passi per la testa, e io rispondo come se credessi ancora alle belle parole di chi ha goduto fin troppo del beneficio del dubbio. 

Sto lì, a fingere di non aver intuito già dapprima che qualcosa non torna, che certa esaltazione è volta soltanto a fare scena sulla piazza, ma il risultato è discutibile. Non vi sarete affrontati allo specchio, figuriamoci a vicenda. E poi un qualcuno verrà da me a cercare di estrapolare informazioni, per darsi una risposta a qualcosa che non so neanch’io (o forse sì), e mi toccherà stare al gioco. Ma sì, prima o poi ce lo prenderemo questo caffè!

Lo dico qua, un po’ perché non riesco a farmi una vita, un po’ perché una vita vera ce l’ho, ma rimango zitta. E un po’ perché ho giocato anch’io a questo gioco e conosco i trucchetti, perché non sono un automa, sono una persona e alla fine te lo devo proprio dire. Ma rimango invece zitta per fare un favore non richiesto nella mia discrezione.

E io fingo di non aver visto nulla, mi faccio gli affari miei e ci bevo su. Ma non sono più io a reggere l’alcool, è l’alcool a non reggere me. Mi aggrappo a citazioni perché incespico sui miei stessi pensieri. Ho visto un cambiamento in te, è come se non avessi mai avuto le ali. E ti senti così vivo. 

Mi guardo intorno e vedo qualche volto abbattuto. Faccio come se non fosse palese che alcuni individui, ciascuno a suo modo, cercano disperatamente attenzione nel disperato tentativo di mostrarsi indifferenti e disinvolti. Qualcun altro ultimamente alza il gomito più spesso, o si arroga la presunzione di giudicare. Ma noto che ha il dente più avvelenato del normale, allora evito. Qualcun altro ancora la sa lunga, ma non la sa raccontare giusta. Ma preferisco tacere, illudendoli di poterselo permettere. Provo comunque a restare umana nei confronti di tutti quanti, non è semplice. Nel mentre, l’alcool mi sale e il sonno mi cala, e devo anche reggere le battute e i confronti. A volte esco sobria e rientro astemia, che non si sa mai. 

E soprattutto, fingo di essere paziente e superiore. Mi consola l’idea che oltre a fingere di non vedere ciò che capita intorno, non devo fingere nient’altro che mi riguardi. È un mondo pieno di depravati e psicopatici, ma questo lo dico chiaramente. Posso accorciare le distanze se vedo progressi, ma mai azzerarle.

Ma fingo pure di non vedere la sofferenza del volto insofferente che ho di fronte, che vorrei ripetutamente prendere a schiaffi. È stata una lunga e lenta collisione, così YouTube suggerisce i Cardigans perché sa che ho bisogno di un po’ di buon vino e tu, tu hai bisogno di essere più gentile. 

Ma la gente finge a sua volta di non stare osservando e ci ricama la verità che preferisce. In fondo, a nessuno piace scoprire che Cassandra ha sempre avuto ragione. E io non ho più 16 anni, quando il mondo lo odiavo per passione. Chi ha gli attributi non necessita di fingere, e vi giuro che se smettete voi smetto anch’io.

Come ultima cosa, fingo di non avere ancora strane sensazioni quando non ho più niente e nessuno da osservare. E allora mi sono recata al locale, solo per cercare di capire. Facciamo finta, tutti quanti, solo diversamente da come canta Fabi. Ma purtroppo per stasera ho smesso di bere e la sbronza mi sta gradualmente passando.

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